E NON SE NE VOGLIONO ANDARE!

(E se poi se ne vanno… A volte tornano…)

E non se ne vogliono andare”… successione di parole che a taluno potrebbe evocare qualche ricordo.

Personalmente, mi riportano alla frase che ogni tanto mia madre si divertiva a proferire quando ancora coabitavamo, il cui concreto significato e peso oggi, da adulta che vive fuori dalla casa d’origine e madre a mia volta, ho compreso e che forse mi scoprirò a riciclare…

A molti è nota la storia della famiglia Giuliani, collocata nella capitale in un contesto medio-borghese, nata dalla regia di Giorgio Capitani, che narrava nel 1988 in chiave di commedia le vicissitudini domestiche, le lamentele e le continue pressioni dei figli, ormai “grandi”, esercitate sui loro genitori, dai quali in fin dei conti non si allontanano, se non temporaneamente.

Con il celebre sceneggiato e con il seguito della storia, sbarcato sempre in televisione l’anno successivo con il titolo “E se poi se ne vanno”, il regista italiano, allora, puntò la sua attenzione su tematiche che sono tuttora di grande attualità… anche se, oggi, la lancetta dell’età dei protagonisti dovrebbe essere spostata in avanti di qualche lustro e per dirsi compiuta, la rappresentazione andrebbe integrata con altro tassello: occorrerebbe una terza fiction che il nostro Capitani -scomparso esattamente un anno fa -, avrebbe potuto regalarci con la regia di altro romanzo dal titolo “A volte tornano”!

Comunque, senza scomodare registi, sul tavolo dei giudici modenesi è planato un caso che ben descrive questo fenomeno e che richiederebbe un approfondimento – forse anche comparato con la situazione delle altre nazioni europee e non – sui piani sociologico, culturale, economico e politico.

 

IL CASO

Con un’interessante pronuncia del 1.2.2018, il Tribunale di Modena ha deciso una causa azionata nel 2017 da una signora anziana, rappresentata dal suo amministratore di sostegno, nei confronti del figlio di 60 anni, al fine di ottenere che quest’ultimo liberasse l’immobile di esclusiva proprietà della prima.

L’appartamento, nel quale le parti avevano per molti anni coabitato fino alla morte del padre, era da qualche tempo occupato a titolo gratuito dal figlio in modo esclusivo poiché la madre era stata ricoverata in un centro per anziani al fine di ricevere le cure che non era stato possibile somministrarle a domicilio per la totale indifferenza e l’ostilità del figlio (agli atti risultavano  sporte denunce penali).

Il figlio, per contrastare nel merito la richiesta di liberazione, deduceva che la permanenza nell’immobile era avvenuta in adempimento spontaneo di un obbligo di mantenimento gravante sui genitori e che pertanto la domanda dell’anziana signora doveva essere rigettata.

La madre controdeduceva che si era trattato di un comodato precario e che pertanto, avendone intimato il rilascio, l’immobile le doveva essere restituito libero da cose e persone.

 

LA SENTENZA

Il Tribunale, al termine dell’istruttoria, rigettava la tesi del figlio motivando che, nel caso di specie, il figlio non aveva mai avanzato richiesta di alimenti né aveva fornito la prova che la madre, riconoscendo lo stato di bisogno del figlio e l’impossibilità per quest’ultimo di procurarsi mezzi di sostentamento, avesse inteso adempiere spontaneamente ad un’obbligazione alimentare tenendo presso di sé il figlio nell’immobile; statuiva, inoltre, che non era sufficiente che la madre avesse volontariamente ospitato il figlio in virtù del vincolo familiare essendo invece <<necessaria la prova della consapevolezza in capo alla stessa di adempiere ad un’obbligazione giuridica e la volontà di far fronte all’obbligo tenendo presso di sé il figlio e fornendogli i mezzi necessari >>.

  • IL DOVERE DI AUTORESPONSABILITÀ-

Anche se non richiesto dal caso di specie, il Tribunale procedeva oltre, come a scansare dubbi ed evitare che fossero avanzate eventuali altre pretese, ed evocava i doveri di autoresponsabilità che incombono sui figli maggiorenni che non possono <<pretendere la protrazione dell’obbligo al mantenimento oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché “l’obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione” (Cass, civ., 20 agosto 2014 n. 18076)>>.

  • TUTELA DEI FIGLI QUALE SINONIMO DI “PARASSITISMO” AI DANNI DEI GENITORI ANZIANI: QUANDO?-

Di talché, precisava l’ufficio giudiziario citando giurisprudenza di legittimità, la valutazione delle circostanze che giustificano la ricorrenza o il permanere dell’obbligo dei genitori al mantenimento dei figli maggiorenni, conviventi o meno ch’essi siano con i genitori o con uno di essi, <<va effettuata “in guisa da escludere che la tutela della prole, sul piano giuridico, possa essere protratta oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, al di là dei quali si risolverebbe, com’è stato evidenziato in dottrina, in “forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani (v. Cass. n. 12477/2004, n. 4108/1993)>>

  • IL FIGLIO ADULTO ANCHE SE DISOCCUPATO HA DIRITTO AGLI ALIMENTI – NON PIÙ AL MANTENIMENTO – ETÀ PRESUNTIVA: LA SOGLIA DEI 34 ANNI –

Il Tribunale di Modena si rifaceva all’orientamento affermato da altra giurisprudenza di merito secondo cui <<con il superamento di una certa età, il figlio maggiorenne, anche se non indipendente, raggiunge comunque una sua dimensione di vita autonoma che lo rende, se del caso, meritevole dei diritti ex art. 433 c.c. ma non più del mantenimento ex artt. 337-ter, 337- octies c.c..>>.

Nel tentativo di identificare la soglia limite, la <<certa età>> oltre la quale un figlio non può più essere considerato quale avente diritto al mantenimento, faceva ricorso alle statistiche ufficiali, nazionali ed Europee, secondo le quali superati i 34 anni, <<lo stato di non occupazione del figlio maggiorenne non può più essere considerato quale elemento ai fini del mantenimento, dovendosi ritenere che, da quel momento in poi, il figlio stesso può, semmai, avanzare le pretese riconosciute all’adulto (v. regime degli alimenti)>> (Trib. Milano, sez. IX civ., ordinanza 29 marzo 2016).

ALTRE QUESTIONI:

A CHE TITOLO IL FIGLIO “OCCUPA” LA CASA DEI GENITORI?

Si doveva poi soffermare il Tribunale sulla legittimità della qualificazione del rapporto di godimento della casa da parte del figlio, inquadrato dalla difesa della madre appunto come comodato precario e contestata da controparte non essendo stata fornita alcuna indicazione sui tempi e sulle modalità di conclusione del contratto.

Rilevava il Giudice che il figlio in origine (fino alla temporanea assenza) non aveva mai avuto il godimento esclusivo di una porzione dell’appartamento avendo le parti da sempre convissuto nella stessa abitazione, condividendo ragionevolmente tutti gli spazi comuni, in assenza comunque di un contratto scritto.

Scartata l’ipotesi che il potere esercitato dal resistente sull’immobile fosse da assimilare a quello proprio dell’ospite (in quanto tale qualificazione <<priverebbe addirittura lo stesso della tutela possessoria e che non appare congrua stante la differente intensità e rilevanza dei rispettivi legami affettivi>>), riteneva che <<la lunga convivenza con la madre nell’appartamento, seppur non costituisca di per sé prova della natura alimentare del rapporto instauratosi, renda lo stesso comunque riconducibile ad un negozio atipico di tipo familiare, concluso per fatti concludenti>>.

Giungeva alla conclusione che <<il rapporto negoziale intercorso ha dato vita ad una forma di detenzione qualificata ma precaria, equiparabile -ai fini della disciplina- a quella del comodato senza determinazione di durata>>

Il giudice faceva richiamo alla figura del negozio atipico familiare <<utilizzata dalla giurisprudenza di legittimità per inquadrare il rapporto tra conventi more uxorio, in relazione alla casa familiare in termini di detenzione qualificata ed autonoma (Cass. 7214/2017; Cass. 7/2014)>>.

Rilevava tuttavia che la fattispecie presentava alcune caratteristiche diverse da quella in esame in quanto <<il rapporto di filiazione non può sciogliersi liberamente diversamente da un rapporto di convivenza. Tuttavia, sotto il profilo del rapporto che si viene ad instaurare con l’abitazione, le due fattispecie sono assimilabili in quanto anche la convivenza con il figlio maggiorenne, in assenza di obblighi di mantenimento, è rimessa alla libera determinazione delle parti>>.

Non è infatti raro che i figli, divenuti maggiorenni, anche dopo aver raggiunto un’età tale da non poter essere in alcun modo beneficiari del diritto al mantenimento, permangano nella casa natale unitamente ai genitori, <<in virtù di un rapporto oramai consolidato di solidarietà e affetto familiare che trova fondamento negli artt. 2 e 29 Cost.. Il rapporto che si instaura con il bene trova quindi tutela e costituisce una forma di detenzione qualificata>>.

Concludeva dunque il giudicante che, trattandosi di un comodato precario, doveva essere applicato l’art. 1810 c.c., e pertanto, <<quando il termine di restituzione non è stato convenuto dalle parti e non può desumersi dall’uso cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante gliene faccia richiesta>>. Nel caso di specie, risultando la richiesta formulata con raccomandata del 2.03.2017, in applicazione del principio di buona fede e correttezza, emetteva ordine di rilascio dell’immobile libero da cose e/o persone, fissando -su domanda del resistente- la data del 1.07.2018.

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Download Sentenza del Tribunale di Modena del 1 febbraio 2018