Al via la sperimentazione per gli anni 2016 e 2017 del Fondo di Solidarietà istituito a favore del coniuge in stato di bisogno, affinchè ottenga l’anticipazione di una somma non superiore all’importo dell’assegno sociale, in relazione a ciascun rateo mensile dell’assegno di mantenimento.

Un anno dopo la legge di Stabilità del 2016, con decreto del 15/12/2016 del Ministero della giustizia (pubblicato nella Gazz. Uff. 14 gennaio 2017, n. 11), sono state adottate le disposizioni necessarie per l’attuazione della norma primaria istitutiva del Fondo, con particolare riguardo all’individuazione dei tribunali presso i quali avviare la sperimentazione, alle modalità per la corresponsione delle somme e per la riassegnazione al Fondo delle somme recuperate.

Il testo delinea i requisiti soggettivi ed oggettivi ai fini dell’ammissibilità dell’istanza.

Chi può farne richiesta?

– il <<coniuge separato>>

– <<in stato di bisogno>>

– <<in possesso dei requisiti di cui all’art. 3>>;

– <<con il quale convivono figli minori o figli maggiorenni portatori di handicap grave >>

– <<che non abbia ricevuto l’assegno periodico a titolo di mantenimento>>  che sia <<maturato in epoca successiva all’entrata in vigore della legge>> (di Stabilità 2016)

– <<per inadempienza del coniuge che vi era tenuto>>

Nonostante la finalità solidaristica del Fondo e nel rispetto di quanto stabilito dalla legge di stabilità del 2016, la legittimazione a presentare la richiesta di erogazione è riconosciuta unicamente al <<coniuge separato>>.

Sono, per l’effetto, esclusi dalla possibilità di far ricorso a tale Fondo, pur ricorrendo gli altri presupposti, i genitori che rivestano lo status di <<ex coniuge>> (divorziato) e di <<ex convivente>>.

Con riguardo allo status di genitore divorziato, se si tiene conto che oggi i tempi necessari per passare dallo status di <<coniuge separato>> a quello di <<ex coniuge>> e dunque <<divorziato>> sono decisamente brevi, l’esclusione potrebbe costituire un vero e proprio imbuto ovvero una remora in capo al <<coniuge in stato di bisogno>> a procedere per la declaratoria della cessazione del vincolo o dello scioglimento del matrimonio, e viceversa un fattore di accelerazione per il coniuge inadempiente, onde evitare di trovarsi lo Stato in veste di creditore, alle calcagna, ben più solerte ed efficace nell’attività di recupero dei crediti nei confronti dei suoi cittadini.

Ma ancor più grave, tenuto conto del fine proprio dell’istituito Fondo di solidarietà (palese nel suo stesso nome!),  è la discriminazione e conseguente ed ingiusitifcata disparità di trattamento che ne deriva al genitore ex convivente rispetto al genitore coniuge separato (rectius, ai loro figli), laddove i giudici si troveranno ad applicare la legge sanzionando le eventuali istanze presentate dai primi con la declaratoria di inammissibilità.

Ciò premesso, il decreto ministeriale ha poi oggettivamente ristretto il campo di applicazione a situazioni di grave indigenza, esigendo dall’istante il <<possesso dei requisiti di cui all’art. 3>>.

La norma in questione stabilisce infatti che, a pena di inammissibilità della domanda, l’istante, con dichiarazione resa ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445,  deve attestare che il valore dell’indicatore ISEE o dell’ISEE corrente in corso di validità sia inferiore o uguale a euro 3.000 ed altresì che versa in una condizione di occupazione, ovvero di disoccupazione ai sensi dell’art. 19  del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150 , nonchè, in caso di disoccupazione, di non aver rifiutato offerte di lavoro negli ultimi due anni).

In sostanza, in applicazione dei criteri di cui sopra ed ai detti fini, il decreto ha definito cosa debba intendersi per <<stato di bisogno>>, in difetto dei quali l’istanza deve essere dichiarata inammissibile.

Sempre a pena di inammissiblità, il richiedente deve:

-indicare se il coniuge inadempiente percepisce redditi da lavoro dipendente e, nel caso affermativo,  che il datore dei lavoro si è reso inadempiente all’obbligo di versamento diretto a favore del richiedente a norma dell’art. 156, sesto comma, del codice civile.

-produrre i documenti che dimostrino di aver prima tentato il recupero dell’importo con pignoramento presso il debitore e/o anche presso il datore di lavoro del coniuge inadempiente (ove quest’ultimo percepisca redditi da lavoro dipendente).

– allegare la visura rilasciata dalla conservatoria dei registri immobiliari delle province di nascita e di residenza del coniuge inadempiente, dalle quali risulti <<l’impossidenza di beni immobili>>.

Dove si presenta la domanda?

L’interessato deve presentare l’istanza presso il tribunale (non di residenza, come era indicato nella legge di Stabilità, ma in quello) che ha sede nel capoluogo del distretto della corte di appello del circondario di cui fa parte il proprio comune di residenza. L’istanza dovrà  essere redatta in conformità al modulo che sarà messo a disposizione dal trentesimo giorno dalla data di pubblicazione del decreto medesimo (entro il 14 febbraio 2017…) in un’area dedicata denominata «Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno» del sito internet del Ministero (www.giustizia.it).

Il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato, ritenuti sussistenti i presupposti e ammissibile l’istanza, trasmette la medesima al Ministero della giustizia ai fini della corresponsione della somma; in caso contrario, emette un  decreto di rigetto non impugnabile.

Il Fondo, alla scadenza di ciascun trimestre dalla data di pubblicazione del decreto, distribuisce le risorse agli aventi diritto le cui istanze sono trasmesse al Fondo,  secondo criteri di proporzionalità.

In ogni caso, all’avente diritto non può essere corrisposta, in relazione a ciascun rateo mensile dell’assegno di mantenimento, una somma eccedente la misura massima mensile dell’assegno sociale.

Il Ministero di giustizia si rivarrà poi sul coniuge inadempiente.

In conclusione, l’accesso a tale fondo appare abbastanza tortuoso per il richiedente <<fai da te>>.

Le restrizioni soggettive ed oggettive e la serie di allegazioni in difetto delle quali l’istanza rischia di essere vanificata dalla declaratoria di inammissibilità (peraltro, non impugnabile)  non sembrano rendere agevole l’accesso al Fondo al privato cittadino <<fai da te>> che, trovandosi <<in stato di bisogno>> non può rivolgersi ad un legale per ricevere consulenza e/o assistenza.

Certamente, per i tentativi di recupero del mantenimento non corrisposto, attraverso le procedure esecutive da promouoversi direttamente presso il debitore (il coniuge obbligato) e/o presso terzi (l’eventuale datore di lavoro), l’istante dovrà essere stato assistito da un avvocato. E fin qui, non vi sono particolari difficoltà, in quanto l’istante -<<in stato di bisogno>> ex d.m. 14.12.2016- avrà altresì verosimilmente i requisiti per essere ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato (previsto per tale tipologia di attività legale).

Al momento, tuttavia, tale beneficio non è esteso alla copertura del compenso eventualmente dovuto al legale che venga incaricato dell’assistenza e/o consulenza per la redazione e  l’istruzione dell’istanza per l’accesso al Fondo di solidarietà, non dovendosi tale attività intendere come giudiziale.

E’ vero che attualmente i cittadini non abbienti sono ammessi al beneficio del patrocinio a spese dello Stato anche per le procedure di mediazione civile.

Tuttavia, anche in tali casi, si rischia di trasformare il gratuito patrocinio a spese dello Stato in gratuito patrocinio a spese dell’avvocato, considerato che in concreto i giudici in sporadici casi hanno liquidato compensi ai legali in tali fattispecie.

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